Del nuovo porto d'Ischia
Cenni del Comm.
Bernardo Quaranta
(in Annali Civili del Regno delle
Due Sicilie - vol. LIII - 1855)
Eravi
a settentrione dell'isola uno stagno ampissimo, originatosi fin dai
più remoti tempi dall'ultimo dei tre gran tremuoti, onde quella
fu sommossa, siccome ricorda la storia, il quale appena avrebbe dato
adito a qualche navicello peschereccio che vi fosse entrato per via
di un angustissimo canale comunicante col mare.
Veduto dunque il Re che niun luogo offrivasi più acconcio ad
un porto, comandava che vi si fosse aperta nel sito più vicino
al mare un'ampia bocca da poter dare agevolissimo passaggio a qualsivoglia
più grande piroscafo da guerra, e che il suo fondo si fosse
purgato dì tutte le materie, che i secoli vi avevano accumulate,
affinché anche grandi navigli riparare vi potessero e stanziarvi
a loro bel agio.
Acciocché poi la bollente rabbia dei venti non obbligasse i
fiotti de' marosi a spingere le accumulate arene in quella chiostra,
e la foga de' cavalloni nuocer non potesse ai legni nel luogo medesimo
dove cercan salvezza; volle Sua Maestà che di lunga ed acconcia
scogliera si munisse
l'entrata del porto. Avanzatasi maravigliosamente l'opera in pochi
mesi, sotto gli auspicii del Sovrano, un magnifico spettacolo si vide
in quelle acque il giorno 17 settembre dell'anno 1854.
Non appena saputo, che poteva un chicchessia nel nuovo porto entrare;
che gli ischioti non solo, ma e la gente quanta era delle isole circostanti,
muoveva a deliziarsi in quel loco dove si trovava infrenato il più
infido elemento. E più che altri ne godevano gli abbronziti
pescatori, cui gli ami e le reti, i viminei laberinti, e le dentate
fiocine esponevano a maggiori pericoli, sicché in poco d'ora
quelle acque si popolarono di numero innumerabile di palischermi,
feluche, paranzelli, tartane e trabacche, folte e gremite di festevoli
passeggieri; le quali, ornate a banderuole galanti, guernite di cortine
listate, e adorne la poppa, quai di porporine rose, e quai di verdeggianti
mirti, battendo i remi a golfo lanciato, entrarono con alcuni battelli
a vapore nella chiostra preparata dalla provvidenza dell'ottimo Principe
al commercio ed alla sicurezza dei naviganti.
Ma quale non fu la sorpresa, quando si accorsero che il Re medesimo,
a fianco dell'Augusta sua Consorte e di tutta la regale famiglia,
da una tenda innalzata sul clivo soprastante gioiva di quella gioia,
che Egli stesso aveva procacciato ai suoi sudditi? Fu bel vedere a
quanti segni di plauso si esprimesse l'esultanza degli animi e un
bel sentire i replicati fragorosi Viva il Re, maggioreggianti anche
tra le nunnerose salve dei piroscafi da guerra, il Tancredi, la Saetta,
il Delfino, l'Antilope, della Cristina e degli altri legni erranti
nelle vicine acque con le reali bandiere. Alle quali salve rispondeva
per tutto intorno ai rivaggi del porto, e ai prossimi colli una calca
immensa, che ad alte prolungate voci, non senza suon di mani, tutte
chiamava le benedizioìi del cielo sul capo del suo Sovrano
adorato, in mentre che i più vicini beavansi a contemplar quella
fronte su cui raggiano, ad un tempo, la fede in Dio, la maestà
del Principato, l'amore ai popoli.
Mostra bellissima facevano gli abiti paesani e festerecci, quelli
soprattutto delle foresi dell'isola e di Procida, che tanto ritraggono
delle antiche fogge. Sfavillavano esse per ori ed argenti, con indosso
quanto possedevano in rubini e perle, e di ogni altra simil cosa di
pregio, gravate più che ornate. Era un superbo guardarle così
riccamente, e così vagamente abbigliate. Che curiose attillature!
Che ricchezza di stoffe! Tuniche a rapporti di broccato; pettiglie
guernite di ricercati galloncini, sciamiti con componimenti di cordorii,
trine aggruppate, nodi capricciosi, frammessi nuovi; capi quali incercinati
di trecce, altri con capelli carichi non solamente infrascati di nastri.
E tutte queste figure tanto più belle, quanto che riscontravansi
collo sfoggiato e corteggiato vestire, che il Tamigi e la Senna avevano
inviato alle dame ed ai cavalieri, che, trovandosi a villeggiare ne'
diversi alberghi dell'isola, mossero per godere l'inaspettata letizia.
La quale, prolungatasi per più ore, si faceva ad ogni istante
diversa; ma sempre nuova, bellissima, soprammirabile per gli effetti
del sol cadente, onde l'acqua si tingeva di fiamme, che, ripercuotendo
sui volteggianti legni, gli ostri e gli smeraldi delle pompose donne
in mille guise lampeggiare facevano. Ché in quella piacevolezza
della stagione placido era il mare e splendido meglio di puro zaffiro
il cielo, da cui pareva, che, intercedente il Santo nostro Patrono
Gennaro, l'Angelo del Signore avesse disgombra la mortifera nube,
che dall'esizial suo grembo piovve su queste belle Sicilie i pestilenziali
semi dell'asiatico morbo. E sì che tutti avrebbero voluto per
molto più di tempo contemplare la Maestà di un Re, la
cui presenza è la storia parlante di quel senno, per cui, vindice
di tutte le civili ragioni, Ei va promovendo opifizii ed industrie,
ed ogni cosa onde l'umano consorzio si rinvigorisce. Di che sfolgorano
in tutto il regno a mille gli esempi, ed ultimamente in quest'isola,
che n'ebbe rotabili strade, bagni adorni, e terme salubri; e,
che più è, atti solenni di pietà e religione,
non ultimo dei quali è il sacro tempio onde belle si faranno
le rive del porto.
Ma già la stella di espero, scintillando più chiaro
dell'usato sull'orizzonte, annunziava il presto arrivar della notte;
quando le il Re e la Regina, sulle mosse di ritirarsi, furono di bel
nuovo salutati da lunghi Evviva e schietti rimbombanti applausi. Sicché,
allo spirare di una brezza leggiera che riempiva dolcemente le vele,
tutte quelle schiere gioiose, là tornando donde erano partite,
acclamavano a Ferdinando II, come a colui chepadre si mostra a tutti
coloro che da re felicemente governa.