Piccola storia del porto d'Ischia
di Paolo Buchner
Quanto
mi sei caro, piccolo grazioso porticciuolo! Quante volte, dopo una
assenza più lunga, mi hai accolto come un vecchio amico! Ogni
giorno ti guardo dalle terrazze della mia casa e passo lungo le tue
sponde. Così conosco i tuoi mille aspetti e ti amo, quando
riposi quietamente nelle giornate calde d'estate e rispecchi la ghirlanda
delle case variopinte, circondato dai rosei mazzi degli oleandri.
Poi vengono quelle sere, nelle quali fra gli ulivi della collina di
San Pietro sorge la luna piena, rossa come ferro incandescente, e
la grandiosità dello spettacolo ha un fascino quasi doloroso,
finché il disco s'innalza e le tue acque diventano puro argento.
Non c'è da meravigliarsi se allora suona un mandolirio dalla
Pagoda e canzoni d'amore interrompono la quiete. Nella sera del 15
agosto, quando la Madonna di Porto Salvo ti benedice, ti cambi in
un fantastico guazzo notturno dell'ottocento. La nave col suo santo
carico, decorata con frasche verdi ed illuminata da fuochi di bengala,
fa i suoi lenti giri nelle tue acque, seguita da una schiera di battelli;
le case e le colline sono illuminate, i fischi dei razzi ed i colpi
dei mortaletti si mischiano alla musica che suona sulla nave della
Madonna, finché la statua rientra in chiesa ed i fuochi si
spengono a poco a poco.
Ma ti amo anche non meno, quando nell'inverno le nuvole nere di scirocco
passano su te e gli acquazzoni martellano il tuo specchio o quando
il vento di terra caccia le tue acque oltre la banchina ed i velieri
che si sono rifugiati nel tuo seno sicuro gemono sfregandosi l'un
l'altro.
Come si rallegrano invece le tue rive, quando in estate la folla dei
forestieri avida di sole e di riposo scende dai vaporetti, e quando
arrivano le motobarche e scaricano i sacchi di farina, le casse colla
pasta, i cesti pieni di verdura e le mille altre cose necessarie alla
vita quotidiana!
Non possiamo immaginarci l'Isola senza questo porto, che eppure ha
festeggiato appena il primo centenario della sua nascita. Ed anche
la storia del lago che nel 1854 fu collegato col mare, rimonta soltanto
fino al quinto o quarto secolo avanti Cristo! Nei tempi romani il
ricordo dell'origine del lago era ancora vivo. Leggiamo in Plinio
che un giorno sull'Isola, allora chiamata Aenaria, si aprì
la terra ed inghiottì una cittadina - oppidum haustum profundo
- e che in seguito a questa catastrofe si formò un lago - alioque
motu terrae stagnum emersisse. Oggi è fuori dubbio che questo
passo, a prima vista così fantastico, si riferisce di fatto
alle prime origini del nostro porto. Nel corso degli studi che cercano
di ricostruire, per quanto possibile, l'età e la successione
delle eruzioni sull'Isola, trovammo sulla collina di San Pietro, sepolti
sotto la lava che appartiene alla eruzione che condusse alla formazione
del lago, i cospicui resti di vasellame del VI e V sec. a. C. e le
tegole d'un tempio greco della stessa età, ora conservati nel
Museo dell'Isola.
Le parole di Plinio, inoltre, corrispondono perfettamente al carattere
particolare di questa eruzione. Si tratta evidentemente di un tipo
che i geologi chiamano un "dosso di ristagno", cioè
una effusione massiccia di lava lungo una spaccatura del sottosuolo.
Anche le vicine alture del cosiddetto Lenzuolo e del Monte Toppo e
della più lontana Costa Sparaina sono simili formazioni, ma
questa volta, finita l'eruzione, si sprofondò quasi tutta la
nuova montagna di lava. Solamente una piccola parte di essa rimase,
attaccata sulle alture ed alle pareti delle colline preesistenti di
San Pietro e Sant'Alessandro, e là, dove era venuta in contatto
col mare.
Nei tempi romani era sorta di nuovo qua e là attorno al lago,
nutrito dalle vadose acque piovane e quelle salate del mare, qualche
casa rurale, documentata da cocci di quell'epoca. E grazie a un fatto
curioso sappiamo anche che verso il 140 d. C. sul piccolo isolotto
di lava, oggi un tondo circondato di muratura, c'era una casa! Esiste
una lettera del principe Marco Aurelio che scrisse al suo maestro
Fronto per chiedere un consiglio. Era occupato in esercitazioni retoriche,
e poiché aveva sentito che nell'isola Aenaria esisteva un lago
ed in questo lago un isolotto anche abitato, voleva sapere come si
sarebbe potuto utilizzare questo curioso fenomeno, e Fronto rispose
che si potrebbe dire che l'isola grande ripara l'isolotto dalle tempeste
del mare così come il padre tiene lontano dal figlio le preoccupazioni
del governo.
Ma quando Marco Aurelio scrisse questa lettera, gli anni di calma
in questa zona erano già contati! Verso il 200 d. C. un altro
sconvolgimento della terra formò definitivamente intorno al
lago il paesaggio a noi così famigliare. Probabilmente sulla
stessa frattura uscì nella più stretta vicinanza una
grande quantità di lapilli che ricoprì il più
antico Rotaro e le colline e pianure confinanti, seppellendo la ceramica
dell'epoca. Poi avvenne anche questa volta l'estrusione d'una cupola
massiccia di lava, la quale in parte ritornò in fine nella
sua fauce e creò così quel roccioso pseudo-cratere del
Montagnone.
Le notizie che riguardano la vita del nostro lago durante il medioevo
sono purtroppo scarse. Sappiamo che c'era una badia di Basiliani,
dedicata a San Pietro, dove ancora oggi sulla omonima collina esiste
una chiesetta fuori uso dedicata una volta all'apostolo. Sulle alture
opposte, la nobile famiglia Di Manso costruì già attorno
il 1300, attigua alle sue case, in parte con frammenti di un pavimento
romano, la chiesetta di Sant'Alessandro Martire, la quale ancora oggi
è in possesso degli ultimi modesti discendenti che non fanno
più uso della nobiltà confermata da Carlo V. Come oggi,
pullulavano le due sorgenti termali presso la riva del lago e portavano
un po' di vita nella sua quiete. Il più antico accenno ad esse
si trova in un manoscritto medioevale, conservato nella Biblioteca
Angelica a Roma, rappresentante una breve descrizione dei bagni della
vicina terraferma e dell'Isola d'Ischia, basata su fonti più
antiche, ma arricchita di esperienze personali. Fra cinque bagni ischitani
appare il Balneum de lacu. L'autore è un Johannes medicus Gregorii
medici filius. Che sia Giovanni da Casamicciola, il più antico
medico dell'Isola del quale sappiamo, medico personale di Carlo I
di Angiò e maestro del famoso Arnaldo di Villanova?
Delle due fonti - Fornello e Fontana - parlano appena il Libellus
de mirabilibus Civitatis Putheolorum (Napoli 1475), il medico Giovanni
Elisio e soprattutto Giulio jasolino, il rianimatore della vita balneare
dell'isola, nel suo famoso libro "De' Rimedi naturali" del
1588. Egli ci racconta anche che ai suoi tempi ogni anno si riuniva
sul lago una quantità di folaghe, delle quali a San Martino
si ammazzavano con balestre più di mille capi; e dalla bella
pianta che accompagna il libro, si desume che sull'isolotto che interessava
già Marco Aurelio, c'era ora una chiesetta. La pianta dice
soltanto T.S.N., ma in una prima stesura manoscritta del libro appare
il nome completo di San Nicola.
Malgrado l'incanto del paesaggio con le sue colline coperte di mirti,
lentischi ed ulivi, l'aria attorno il lago lasciava molto a desiderare.
Le rive erano paludose, qua e là stagnavano le acque termali
ed uscivano piccole fumarole; le tempeste d'inverno buttavano oltre
la stretta duna sabbiosa tante alghe marine che marcivano in estate.
Per evitare questo inconveniente, nel 1670 si creò una prima
comunicazione col mare, la "foce", oggi interrata, ma ancora
ben visibile, là dove si accede alla cosiddetta Pagoda. Non
era praticabile per le barche, ma chiusa con una incannucciata in
modo da permettere soltanto il passaggio ai giovani pesci che prosperavano
magnificamente nel lago. Davanti allo sbocco la pesca era interdetta
in un raggio di mezzo miglio.
Un evento molto più importante di questo tentativo purtroppo
fallito per quanto riguardava il risanamento delle acque stagnanti,
è legato al nome del Protomedico Francesco Buonocore. Figlio
d'una antica famiglia dell'Isola divenne, appena 35enne, medico personale
dell'infante Carlo a Madrid, e quando questi nel 1734 entrò
in possesso del regno di Napoli, egli salì alla più
alta carica che Carlo III poteva offrire ci un medico. Ma le sue importanti
occupazioni nella capitale non gli fecero dimenticare l'isola nativa
e già nel 1735 un vero palazzo dominava dalle alture sopra
il lago, dove il padre e il nonno avevano acquistate delle terre.
Francesco Buonocore non era soltanto medico, ma nello stesso tempo
di una vasta cultura letteraria e storica, esaltata ampollosamente
dai contemporanei. Il suo casino era riccamente arredato con raro
gusto; tutt'una serie di lunghe iscrizioni latine, dettate dal famoso
Mazzocchi, attestavano non soltanto la erudizione classica, ma anche
la sua passione, ereditata dagli antenati, per la vita campestre:
non mancavano nemmeno la stalla dei buoi, il gallinaio modello, la
colombaia, dove teneva anche piccioni viaggiatori. Con questa idilliaca
sede il Protomedico non creò soltanto un pacifico ritiro per
sé e per i suoi amici, ma nello stesso tempo una specie di
sanatorio che metteva a disposizione di pazienti di rango che volevano
approfittare delle vicinissime acque termali custodite in due casupole
assai modeste.
Non contento di tutto ciò egli acquistò in seguito,
specialmente dalla famiglia dei Polverini, quasi tutti i contorni
del lago, cioè la intera collina di San Pietro e gran parte
delle "Pezze", della regione Campitelli e delle terre ai
piedi del Montagnone. Soltanto la collina di Sant'Alessandro rimase
proprietà della nobile famiglia Di Manso.
Quando l'ottantenne scapolo mori a Napoli nel 1768, la vasta proprietà
passò al nipote Crescenzo Buonocore, il quale nel 1783, in
occasione della prima visita che Ferdinando IV fece all'isola, ebbe
l'onore di riceverlo nel casino. Fu un avvenimento decisivo per il
nostro lago. Il re era entusiasta del palazzo e della sua incantevole
posizione; l'anno seguente egli ritornò già con una
quantità di letti e di argenteria, accompagnato da dieci musicisti,
mentre il Comune organizzò, con sommo piacere del re, una grande
pesca nel lago e una caccia ai conigli. Un mese dopo il Comune dovette
cedere la pesca nel lago al re e poco dopo la creazione del Protomedico
appare tra le "Delizie Reali". Crescenzo, volendo o non
volendo, l'aveva ceduta al re, innamoratosi di essa a prima vista.
Il passaggio non fu a danno del Comune. Ischia divenne così
in seguito una delle preferite villeggiature della famiglia reale.
Già Francesco I, il figlio del Re Pescatore, ingrandì
il palazzo ed abbelli il giardino. Ma soprattutto fu il suo successore,
Ferdinando Il, al quale non soltanto la "Villa de' Bagni",
ma tutta l'Isola deve moltissimo. Fu lui che fece costruire le prime
strade carrozzabili per Casamicciola e Forio, ma oltre a ciò
anche quella che, oggi purtroppo abbandonata conduce dalla Piazza
Bagni di Casamicciola al Cretaio e a Fiaiano, che riunì l'Isola
colla terra ferma con un cavo telegrafico, aggiunse altre costruzioni
al Palazzo, e curò in modo speciale il suo parco. Appassionato
per la botanica, lo affidò a Giovanni Gussone, il botanico
di corte, al quale dobbiamo anche essere grati per la piantagione
dei pini sulla colata dell'Arso, fin allora assolutamente sterile,
e per la sua ottima Flora dell'Isola la quale ha festeggiato anche
nel 1954 il suo da nessuno notato primo centenario.
Ischia era diventata intanto la meta di tutti i pittori della Scuola
di Posillipo, e fra i loro disegni ed acquarelli appare spesso anche
il lago. Esso dormiva sempre ancora nella prima metà dell'ottocento
fra le sue colline scarsamente abitate, come la bella addormentata
che aspetta il suo principe. Soltanto là, dove oggi è
il Caffè Diaz, c'era un gruppo di case e un piccolo mercato,
sul quale le contadine col bel costume dell'epoca vendevano i prodotti
delle loro terre, ed appena nel 1845 le vecchie terme dovettero far
posto ad un nuovo stabilimento che corrispondeva meglio alle esigenze
del tempo.
Ma il giorno che svegliò il lago, era già vicino. L'estate
1852 Ferdinando II decise che il lago fosse trasformato in un porto
ed il 21 giugno 1853 cominciarono i lavori. Dove è oggi il
cantiere navale formicolarono allora gli operai, in gran parte coatti
del Castello, sorsero tende e capanne e crebbero monti di sabbia.
Le colline echeggiarono del rombo dei battipali. Il 31 luglio dell'anno
seguente entrava per la prima volta il vapore reale Delfino nel Porto
d'Ischia, ma la solenne inaugurazione e la posa della prima pietra
della chiesa di Porto Salvo si festeggiò appena il 17 settembre.
La famiglia reale, la quale era già da mesi sull'Isola - era
l'anno del colera -, assistè circondata dalla corte presso
la bocca, dove c'era un padiglione in stile cinese, la "Pagoda",
ed un giardino che apparteneva anche alla Villa reale. Che spettacolo
pittoresco! Da tutta l'Isola era accorsa la gente. Circa 200 vapori,
velieri e barche entrarono imbandierati nel porto ed eseguirono ingegnose
evoluzioni, accompagnati dalla musica e dalle salve delle fregate.
Soltanto i membri del Decurionato del Comune d'Ischia erano assenti.
Per loro questa giornata storica era un dies ater. In una lettera
dell'11giugno 1854 al Sottointendente di Pozzuoli facevano osservare
"Che i lavori del porto ov'era lago ordinati da S. M. il Re N.
S. (D. G.) si vedono purtroppo inoltrati". Ma perché questo
malumore? Il Comune perdeva con la creazione del porto, oltre al fitto
per la pesca nel lago, 850 ducati annui per l'affitto della grande
tonnara che stava davanti alla nuova entrata.
Cosa direbbero questi Decurioni di cento anni fa, se potessero vedere,
a quale sviluppo del loro Comune ha condotto questa tanto malvista
apertura del porto?