Da Napoli a Ischia (1)
di Cesira
Pozzolini Siciliani (in Napoli e dintorni,
Napoli 1879)
Il battello a vapore è in ardenza. La caldaia bolle
con romor sordo e monotono. Un fumo denso e cenerognolo vien su dal
cannone, e avvoltolandosi e contorcendosi in mille forme si abbandona
libero al vento che lo travolge e sperde nello spazio infinito. Dallo
sfiatatoio a viva forza si sprigiona fischiando un vapore caldo e
bianchissimo che lambe la superficie dell’acqua, e si dilegua.
I marinai son tutti in moto; vanno avanti e indietro, tiran le tende,
stendono i guanciali sulle panche, caricano i bagagli de’ viaggiatori,
e intanto numerose ed agili barchette giungono dallo scalo del Molo e dell’Immacolatella trasportando i passeggieri che
s’imbarcano per Procida e Ischia.
Noi siamo già sopra coperta, e impazienti s’aspetta il
nostro compagno di viaggio, il medico principe di Napoli, l’illustre
Tommasi.
La gente arriva da ogni parte, uomini e donne, vecchi e bambini, malati
e persone che vendon salute, e tutti pigliano posto qua e là
sul vaporetto, tutti s’affrettano a cacciar sotto le panche
valigie, borse e piccoli sacchi da notte...
Suona una campanella; il vapore manda un acuto e prolungato fischio,
primo segnale della partenza.
- Eccolo, eccolo il prof. Tommasi in quell’ultima barchetta.
- Quello lì in mezzo a tante persone, con quel bel pizzo bianco
e que’ grandi sopraccigli caratteristici?
- Sì, quello appunto.... C’è anche Don Giulio,
l’amicissimo suo, gli assistenti Salvi e Amoroso e poi quanti
giovani! i giovani più affettuosi e più bravi fra i
suoi mille studenti.
- Lo accompagneranno sino ad Ischia?
- Il Salvi, sì; gli altri vengono a bordo per vederlo partire
e per dirgli addio. Lo amano tanto, lo adorano quest’uomo insigne
e simpatico!... Ma com’è ridotto male, povero Tommasi!...
La barca è già arrivata. Egli si muove; tutti gli si
accostano, lo aiutano a montare sulla scala levatoia del vaporetto,
gli stringon la mano..., e quel caro uomo ha per tutti una parola,
un saluto, un sorriso....
Il vapore manda un secondo fischio, e l’argano cigolando penosamente
tira su le grosse catene di ferro delle àncore...
- Qua, venga qua, professore, accanto a me, su questa poltrona....
Si ricordi che oggi ella è il mio cicerone....
È l’ora.
Quando si lascia il porto e Napoli a poco a poco si allontana, la
prospettiva cangia ad un tratto. Non si vede altro che un ammasso
di case addossate, ammonticchiate le une sulle altre che dall’alto
della collina pare si precipitino alla riva a specchiarsi nelle onde
cristalline del mare.
La città veduta in lontananza dal battello, disegna due linee
semicircolari; e nel punto centrale di congiunzione, acuto e sporgente
nereggia il Castel dell’Ovo, prigione un tempo, ora
presidio militare.
Di qua e di là si prolunga un caseggiato immenso, un caseggiato
che non finisce mai, e par che Napoli stessa allarghi due grandi braccia
da levante a ponente per accogliere come meglio può i suoi
seicento sessantamila abitanti. A destra dopo i Granili,
quel gran fabbricato tutto rosso, seguita S. Giovanni a Teduccio,
la Barra, S. Iorio, S. Giorgio a Cremano, Portici, Resina, Torre del Greco, Torre
Annunziata, un’infinità di paesi e paeselli, tutti
uniti 1’uno all’altro, stretti insieme senza limite apparente,
e tutti biancheggiano a’ piè di Somma e del Vesuvio, e s’arrampicano intrepidi su per le falde
del monte sterminatore sfidando quasi le ire dell’indomito cratere.
Più lontane, a mezzogiorno, emergono le montagne di Sorrento fino al Capo Massa, fino alla punta della Campanella;
e in sul tramonto, illuminati dagli ultimi raggi del sole, nell’ampia
curva del golfo si scorge Castellammare e Quisisana,
e si vedono Vico Equense, Sorrento, Massa Lubrense e tutti que’ paeselli che popolano quella costa incantevole,
1’ideale d’ogni artista e poeta.
A sinistra poi verdeggiano brune le antiche piante, i platani maestosi,
le palme secolari della piccola, ma simpatica Villa. Mergellina e Posilipo si stendono sulla collina che uniforme e senza
ondulazione si spinge ardita in mezzo alle acque tremolanti de’
mille bagliori del sole.
Il battello a vapore passa innanzi a questo panorama stupendo, a questo
panorama che si direbbe un sogno più che una realtà.
La punta di Posilipo e il promontorio di Coroglio han già nascosta agli occhi nostri l’immensa città
ed ecco, mutamento di scena, un’altra magnifica prospettiva,
ecco altre linee, altro orizzonte, altro sorriso di natura….
- A lei, Professore.... che cos’è quest’isoletta?
- È Nisida, e pare un grande scoglio. In antico faceva
parte della celebre villa di Lucullo; e Lucullo che era padrone di
tutta questa punta, di tutte quelle grotte parte naturali, parte artificiali,
dove conservava una immensa quantità di pesci e di crostacei,
se ne veniva a Nisida in barchetta lungo certi canali - aperti al
flusso e riflusso del mare per rinfrescare i suoi vivai e non avea
a temer le burrasche.... Il figliuolo di Lucullo possedeva una villa
in quest’isola; in questa villa si ritirò Bruto dopo
l’assassinio di Cesare, e fu visitato da Cicerone. Qui lasciò
sua moglie Porcia - e la lasciò per sempre - quando s’imbarcò
per andare in Macedonia a combattere contro Antonio la battaglia di
Filippi... Poi questi luoghi appartennero a Pollione; a quel Pollione
che in molte di queste peschiere, come si racconta, alimentava una
prodigiosa quantità di murene, grossissime, alle quali si vuole
che desse a mangiare carne umana, i suoi miseri schiavi....
- E quel grandioso fabbricato che biancheggia là sulla parte
più culminante dell’isola…?
- È un ergastolo per i condannati a vita.
- Un ergastolo?... Manco male!... godono almeno tanto riso di cielo
e di mare, e respirano aria salubre quegl’infelici dannati a
vivere gli anni più belli della vita fra’ rimorsi dell’anima,
e nell’isolamento forse d’un angusta celletta!...
- Quella prigione ai tempi Angioini era un castello fortificato, e
la regina Giovanna lo convertì in amenissimo casino di delizie,
che seppe resistere agli assalti ostinati di Enrico di Lorena duca
di Guisa....
- E quel campo circolare laggiù dietro, nel silenzioso piano
de’ Bagnoli è forse destinato a manovre militari?...
- No, è il piccolo e antico lago d’Agnano oggi
prosciugato, un antico cratere.... Lì presso son le Stufe di
S. Germano, bagni a vapore, bagni sulfurei, efficacissimi; e quello
lì è il villaggio di Fuorigrotta. Vede la chiesetta
di S. Vitale dov’è sepolto Giacomo Leopardi?
- Oh, la vedo benissimo. Giorni addietro visitando quella tomba volli
offrire anch’io un mesto tributo di fiori a quel poeta grande
quanto infelice!
Il mare è una tavola; alla superficie le correnti in lunghe
strisce bizzarre s’allungano e si contorcono qua turchine cupe,
là verdognole, più là biancastre con orli variati
e fosforescenti. Napoli è già scomparsa; Nisida si allontana a poco a poco; Pozzuoli s’avvicina sotto
il suo Monte Nuovo surto improvviso nel 1538 là dov’era
un lago.... Ma anche Pozzuoli scompare, ed ecco la spiaggia
Cumana, ecco la memore Baia col tempio di Vesta e col suo vecchio castello.
Che bei luoghi!... Luoghi pieni di memorie, pieni di ruderi grandiosi,
di splendide rovine che ci saprebbero raccontar la storia di tutta
una civiltà. Lassù per quelle pendici la fantasia de’
poeti e la indagatrice curiosità dei dotti ricercano i Campi
Elisi, ritrovano i Campi Flegrei ancora fumanti, ma
non per le guerre che i Giganti vi combatterono contro Giove; ricostruiscono
i templi di Venere, d’Apollo, di Diana e di Mercurio; riedificano
la villa di Plinio e quella dove Cicerone scrisse le celebri Quistioni
Accademiche, e tutti quegli ameni e sontuosi palagi ove gli opulenti
romani passavano i mesi dell’estate.
Gli spettacoli della natura ci rendono muti; e noi tutti, estasiandoci
in quell’oceano di luce e di tinte, di colori e d’armonie,
inebriandoci in mezzo a quell’aere puro e balsamico, ripopolando
con la fantasia quelle coste ridenti di tutti gli eroi mitologici
dell’antichità, fantasticando intorno al passato e all’avvenire,
allo splendore e alla decadenza di quei paesi e alla novella civiltà
che invano si affatica a farli risorgere.... ci pareva d’essere
dolcemente cullati e trasportati a traverso una regione ideale superiore
a tutt’i sensi del corpo...
Il capo Miseno s’allontana a poco a poco, e sparisce
anch’esso alla nostra destra. Due isole ci si presentano l’una
quasi a fronte dell’altra, e s’accostano e si stringono
così che in mezzo ad esse il mare sembra quasi ribellarsi contro
1’angusto passaggio. La prima a destra, povera di case, ma ricca
di vigneti, è il Monte di Procida, famoso per la squisitezza
delle uve e l’eccellenza de’ suoi vini: l’altra,
a sinistra, è la fiorente e popolosa Procida, con
la sua lussureggiante vegetazione, col suo circuito di cinque miglia,
co’ suoi quattordicimila abitanti...
- Che bel monte questo Monte di Procida! Era qui la famosa
Linterno che fu inghiottita dal mare?
- Proprio qui, dove si ritirò il grande Scipione Africano esiliato
da Roma, e dove nell’amicizia di Ennio trovò pace e conforto
al finir della vita. Morì qui Scipione, e a memoranda imprecazione
contro la superba Città, sulla tomba volle incise quelle parole
desolanti: Ingrata Patria, nec ossa quidem mea habes. Col
volger de’ secoli queste parole si vennero cancellando, e chi
sa dov’è andata a finire quella pietra sepolcrale! Ma
un picciol lago, che era l’antico porto de’ Greci restaurato
e ingrandito poi da M. Agrippa, serba tuttora il nome di Patria, forse
in memoria di quella tremenda imprecazione, o piuttosto per gratitudine
a queste spiagge ospitali....
E il battello procede oltre, e passa tramezzo alle due isole che di
qua e di là s’innalzano maestose....
- Eccoci nello stretto canale di Procida. Guardi un po’,
guardi: non pare anche a lei che le due isole ne’ tempi de’
tempi fossero unite, e che sconvolgimenti e cataclismi naturali le
abbiano a viva forza divise?
- Nulla di più probabile in queste terre vulcaniche.... Ma
che cos’è quel vasto casamento lassù, su quella
ridente sommità orientale di Procida?
- Quel casamento che s’erge a perpendicolo sulla punta di Rocciola è il vecchio castello di Procida, oggi convertito in Bagno
pe’ carcerati. Ecco laggiù a piè del monte sulla
marina il paese di Procida, a settentrione dell’isola.
- Come sono ammassate e ammonticchiate le modeste case de’ Procidani!
A vederle così tutte bianche, con que’ terrazzi aperti
e inghirlandati, con que’ tetti lucidi e piatti, la fantasia
corre all’Oriente. Ma non vedo grandi palazzi..., sia un paese
di povera gente?
- Tutta gente di mare, gente che vive di pesca, gente che da’
lunghi viaggi in terre lontane trae il sostentamento d’una vita
sobria e operosa. E che fertilità di terreno! che aria salubre!
e che fogge di vestire curiose e artistiche! Bisogna vedere i Procidani
in festa; bisogna vederli il giorno di S. Michele sul finire di settembre.
Le donne indossano il loro tradizionale costume isolano: bustino attillato,
sottana rossa filettata d’oro, e ballano la tarantella a suon
di nacchere e di tamburello, a onore e gloria del santo protettore....
E il battello passa veloce lasciando dietro a se sul bel turchino
delle acque un lungo solco e una larga e bianca striscia di spuma.
Le ridenti isolette, le loro montagne capricciose coperte d’un
verde scuro e perenne, le varie colline sparse di ville e paeselli,
la baia di Chiaiolella a’ piè del vecchio castello
di Santa Margherita, la Vivara, quell’isoletta dai
folti oliveti..., tutto sembra fuggire dagli occhi nostri, e allontanarsi
sul piano limpido e ceruleo delle acque. Quattro chilometri ancora
e saremo ad Ischia.
Il battello manda un acuto e prolungato fischio come un saluto affettuoso
all’incantata isoletta, rallenta il suo corso, ed eccoci.