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Fu
il suo un «soggiorno obbligato» (allora
si chiamava confino) nell’Isola Verde, che già per il
passato aveva ospitato (si fa per dire) gli «agraziati dalla
pena capitale» e i patrioti napoletani del 1799 e del 1848 salvati
graziosamente dalla forca da re Ferdinando di Borbone!
Parliamo naturalmente dell’esilio dorato
a Ischia di Curzio Malaparte, il maledetto toscano vezzeggiato dal fascismo
e odiato dai comunisti (ma non da Togliatti), avvenuto nel 1936, quando il
regime non perdonava per nessuna ragione al mondo le intemperanze di chi mostrava
non dico avversione alla dittatura, ma perfino sacrosante critiche alle malversazioni
dei gerarchi e dei tanti ras di periferia consumate alle spalle di Mussolini.
La presenza a Ischia del giornalista e scrittore,
già affermato con La rivolta dei santi maledetti, Le nozze
degli eunuchi, L’Arcitaliano, L’Italia Barbara,
può davvero essere considerata un fatto inedito, perché di questo
confino, durato oltre un anno, mai nessuno ha fatto cenno nella pur ricca bibliografia
esistente sulla storia, la cronaca e gli avvenimenti isolani che hanno caratterizzato
il secolo scorso.
Dobbiamo ad alcune Lettere inedite del
nutritissimo epistolario malapartiano, pazientemente ricomposto dagli eredi
dello scrittore, la scoperta del confino ischitano e gli addentellati storici
a cui si ricollega quel provvedimento illiberale del Fascismo, che in ogni
caso era sempre preferibile al carcere e ad altre ignobili persecuzioni ideate
da una dittatura che imponeva il consenso, senza “se” e senza “ma”,
come diremmo oggi!
Curzio Malaparte (il vero nome era Kurt Erich
Suckert) era nato a Prato nel 1898 da padre tedesco e madre milanese. Spiegò a
chi gli chiedeva le ragioni di quel nome che di Buonaparte ne bastava uno,
dunque meglio dalla parte opposta! In realtà si trovò sempre
dalla parte sbagliata, un po’ per tornaconto, un po’ per quello
spirito inquieto che lo portava a continui cambiamenti nel lavoro, nei rapporti
sociali, nelle frequentazioni con il gentil sesso, rifuggendo da qualsiasi
cosa che potesse mostrare, anche alla lontana, il carattere della stabilità e
del duraturo.
Eccentrico, scanzonato, controcorrente, esibizionista
a tutto campo, fu considerato dalla società borghese del tempo un dandy
combattivo e arrivista, uno che sa quello che vuole, risoluto al punto da ingaggiare
ben sedici duelli, di cui uno con Pietro Nenni, ferito e...mazziato!
Dopo il Liceo Cicognini di Prato (lo stesso
del “collega” D’Annunzio), prese parte al primo conflitto
mondiale combattendo al fronte, negli Alpini, per tutta la durata della guerra.
Al ritorno si dedica al giornalismo segnalandosi per la sua penna aggressiva,
sapida e nello stesso tempo elegante. Nel 1922 partecipa alla “Marcia
su Roma” e Mussolini lo premia finanziandogli il quindicinale La
conquista dello stato. Nel frattempo pubblica i primi saggi di buon successo
e nel 1928 viene assunto come redattore de Il Mattino di Napoli.
Sembra avviato ad una folgorante carriera, propiziata
dal Regime, ma Mussolini (che segretamente lo ammira per il suo ingegno vivace
e sbrigliato) ne diffida perché ha intravisto nel personaggio un misto
di individualismo e di ingovernabilità. Malaparte, infatti, è il
tipo che non ama unirsi ai cori che celebrano i fasti del duce. Alla retorica
sostituisce il crudo realismo delle descrizioni. Addirittura da Parigi (siamo
nel 1932) accusa pesantemente Italo Balbo di tramare contro il regime e di
condurre traffici illeciti alle spalle del Fascismo!
La misura a questo punto è colma. Mussolini
in persona lo fa condannare dal Tribunale Speciale a 5 anni di confino e lo
spedisce (1933) nell’isoletta di Lipari a meditare e... ravvedersi!
L’amicizia con Galeazzo Ciano gli fa ottenere
dopo due anni il trasferimento a Ischia, che lo scrittore invoca, perché ha
conosciuto l’isola nel 1926 in occasione di «una scampagnata con
camerati di Caporetto» come ironicamente ricorda in una lettera del 1936: «...mi
trovo nell’isola vulcanica di Ischia, gentile dono del conte Ciano, che
mi ha evitato il protrarsi della penosa sofferenza fra i Liparioti...».
Nel nuovo esilio Malaparte sembra rigenerato;
torna in lui a fluire quell’entusiasmo letterario che sembrava sopito
dopo la dura mazzata inflittagli dal Fascismo! Inizia a scrivere la serie di
racconti “Sangue” nello studiolo della “Villa Lancellotti”,
dove prese alloggio nella bella casa Liberty del sarto Raffaele, alla via Edgardo
Cortese.
A Ischia gli fanno visita, in maniera molto
discreta, diversi collaboratori di giornali e riviste che sollecitano un intervento
del capo del Governo per “graziare” l’illustre confinato.
Qui, Malaparte getta le basi per la fondazione della rivista Prospettive che
vedrà la luce a Roma nel 1937, dopo la sua liberazione.
Dalle numerose lettere scritte ad amici (Augusto
Turati, Daniel Halévy, Galeazzo Ciano), editori (Longanesi, Vallecchi,
Félix Alcan) e ai parenti, si deduce che a Ischia “l’enfant
terrible” non si trovava poi tanto male. Ma certamente gli mancavano
le serate mondane, gli incontri letterari, le assemblee di redazione e infine
i reportage all’estero, dopo le esaltanti esperienze vissute in Spagna,
Francia, Belgio e Cecoslovacchia, ma in compenso trovò conforto nell’incontrare
vecchi amici di milizia, come il pittore Vincenzo Colucci, che conobbe insieme
al fratello Eduardo a Fiume nel 1919.
Colucci era nato lo stesso anno di Malaparte
(1898) e per certi versi sembrava “clonato” dall’eclettismo
del camerata, dal suo spirito di avventura e da un egocentrismo smisurato che
lo spingeva sempre al centro della scena, prim’attore in cerca del consenso
e dell’applauso finale.
Malaparte fu spesso ospite a “Villa Rosica”,
nella pineta di Punta Molino, dove i Colucci e l’allegra brigata ischitana
e forestiera si davano convegno quasi ogni sera, dopo aver sparato gli usuali
colpi di cannone (fortunatamente a salve!), per consumare allegramente montagne
di spaghetti al sugo di pomodorini di giardino e zuppe di pesce freschissimo
della Mandra.
Fra i commensali abituali figuravano l’ex
legionario fiumano Franco Girosi, il pittore Giuseppe Casciaro e, di volta
in volta, Montale, Campigli, Maria Montez, Eduardo e Peppino De Filippo, i
pittori tedeschi Gilles, Purmann, Kraemer, i giornalisti Piero Girace, Alfredo
Schettini, Ferrando Porfiri, i critici d’arte Paolo Ricci, Enrico De
Angeli, Lucio D’Ambra, R.M. De Angelis e molti altri.
Nel suo soggiorno ischitano, Malaparte attese
alla stesura di alcuni saggi politici e storici: una preparazione accorta e
mirata per “rientrare” nell’agorà dopo il brutto
rospo, non ancora digerito, rifilatogli dal Regime! Naturalmente non esitava
ad uscire dal suo guscio quando lo si invitava a qualche manifestazione, come
quella Mostra di Artigianato organizzata dal partito fascista ischitano presso
le Terme Comunali.
Era stato don Onofrio Buonocore a volerlo alla
festa, lui che apprezzava i giovani letterati e le «forbite penne che
perennano la nostra Italia!».
In una lettera inviata all’editore Longanesi,
fra l’altro scrive: «... Nel corso di una serata di beneficenza
promossa dal partito (fascista) locale, il benemerito sacerdote Buonocore,
infaticabile organizzatore e prolifico scrittore di storia ischitana, mi ha
presentato a numerose autorità a cui non fa certo difetto la devozione
per il duce. Fra tutti eccellono per attaccamento all’Idea il federale
dell’isola Tallarico, i podestà di Ischia e Casamicciola D’Arco
e Conte e il poeta foriano Giovanni Verde, centurione della prima ora; personaggio
divertentissimo e molto dotato. Nell’isola, di una bellezza selvaggia,
quasi primitiva, dove trionfano in un intreccio sapientemente modellato viti
cariche di uve e limoni profumatissimi, vi sono numerose persone di buona cultura,
fornite di ricche biblioteche cariche di anni, ma quasi tutte soffrono di mali
antichi, quali un bigottismo esasperato che le porta ad essere servizievoli
e docili verso i preti e una invincibile invidia, tutta paesana, che inasprisce
i rapporti quotidiani ed è causa di frequenti litigi giudiziari. Un
buon diavolo di Casamicciola, artigiano del legno, mi ha voluto far dono di
una raccolta di versi stampati in un suo libriccino che decantano le bellezze
di quest’isola, colonizzata dai Greci e frequentata dai Quiriti per l’utilità che
traggono dalle sorgenti termali. Queste acque sono disseminate in tutta l’isola
e si rinvengono perfino sulla riva del mare. Ho pensato seriamente alla possibilità di
costruire più in là una villetta in questi paraggi, fra aranceti
e ginestre, proprio dirimpetto alla bella Partenope, per trascorrere l’estate
in santa pace, lontano dai frastuoni della città...».
L’idea di una casa in campagna maturò in
Malaparte proprio in questo periodo di isolamento che sembrava avergli tarpato
le ali e moderato le battagliere aspirazioni letterarie e politiche. Naturalmente
si trattava di stati d’animo passeggeri, perché, come vedremo
in seguito, gli eventi che si apparecchieranno per Malaparte lo vedranno protagonista
a tutto campo di una lunga stagione di avvenimenti turbinosi che lo consacreranno
giornalista e scrittore di fama internazionale.
Grazie alla sua amicizia con Ciano, dopo appena
un anno di esilio a Ischia, riuscirà finalmente a sbarcare a Capri,
ospite del medico svedese Axel Munthe. Nell’Isola Azzurra realizza l’idea
della villa estiva approfittando della consistente somma di 500.000 lire, elargitagli
dall’Istituto di Previdenza dei Giornalisti, e della “riabilitazione” ottenuta
da Mussolini, grazie ai buoni uffici interposti dall’architetto del regime,
Adalberto Libera, che gli fa anche il progetto della costruzione.
Nel 1938 Malaparte è inviato speciale
del “Corriere della Sera” in Africa e in Russia al seguito dell’esercito
tedesco, ma ormai ha abbandonato il Fascismo e le velleità di farsi
strada nelle gerarchie del regime. Viene richiamato alle armi nel 1940 e partecipa
alle operazioni di guerra sui fronti finlandese, russo e francese salvando
sempre la pelle in quel grande forno crematorio dell’Europa in fiamme.
Con la caduta del Fascismo, Malaparte viene
arrestato dal governo Badoglio, ma gli americani lo salvano affidandogli addirittura
il compito di ufficiale di collegamento nell’avanzata verso la Linea
Gotica.
Fra una battaglia e l’altra trova anche
il tempo di scrivere Kaputt e aderire al... partito comunista! Inutile
sottolineare che per i suoi trascorsi fascisti deve fare i conti con oppositori
di tutto rispetto che non gli perdonano lo spregiudicato camaleontismo e la
scarsa fede negli ideali politici della sinistra. Antonio Gramsci, scrivendo
a Togliatti una lettera dal carcere, dichiara senza mezzi
termini che Malaparte è «un uomo di una vanità smisurata
e di uno snobismo camaleontico, capace, per la gloria, di qualsiasi scelleratezza!».
Nel 1949 il “maledetto toscano” pubblica “La
Pelle”, controverso reportage sulle condizioni di Napoli nel corso
della guerra; affresco truce e violento di una città dove l’imbarbarimento
della vita pubblica aveva raggiunto limiti da inferno dantesco.
Giornalista affermato, scrittore osannato e
bistrattato, Malaparte è stato per interi decenni al centro di un serrato
dibattito critico-letterario non ancora del tutto esaurito.
In un viaggio in Cina compiuto nel 1955 scoprì di
essere gravemente ammalato. Tornò a Roma e si ricoverò nella
Clinica Sanatrix, dove morì due anni dopo, il 10 maggio 1957. Personaggio
dotato, ma complesso, visse sempre da solo, senza mai legare troppo, né con
le donne, né con gli uomini: le prime furono soltanto avventure passeggere;
gli altri, con cui fu costretto a vivere e misurarsi, costituirono solo un
mezzo per raggiungere i suoi obiettivi di affermazione e di gloria.
Il suo ultimo pensiero sul letto d’ospedale
andò all’amatissimo cane Febo, che lo aspettava a Capri, nella
casetta sul mare diventata muta e solitaria.
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