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Leopoldo
di Borbone a Ischia – Architetture e cronache dell’isola
dalla spedizione per la riconquista del Regno di Napoli (1809) all’apertura
del porto d’Ischia (1854)
di Nicoletta D’Arbitrio e Luigi
Ziviello
Valentino Editore, 2004. Con Prefazione
del Principe Carlo di Borbone Duca di Calabria. Fotografie di Luciano
Pedicini.
Volume,
riccamente ilustrato, edito in ioccasione del 150° anniversario
dell'apertura del porto d'Ischia, in cui gli autori, già nioti
per altre preziose pubblicazioni sull'isola, ci presentano gli aspetti
di un particolare periodo della storia napoletana ed ischitana. Nella
Prefazione il duca di Calabria, Carlo di Borbone delle Due
Sicilie esprime il suo ringraziamento a Gino Ziviello e Nicoletta D'Arbitrio
"per la lusinghiera evocazione che hanno voluto fare della popolare
figura di Leopoldo Giovanni Giuseppe di Borbone delle Due Sicilie (1790-1851",
e poi così continua: "Il quadro nel quale gli autori hanno
scelto di delineare il profilo del Principe di Salerno è quello
delle vicende ambientate nell'incomparabile scenario del Golfo di Napoli
per il quale l'isola d'Ischia costituisce una vigile sentinella e una
insostituibile testimonianza della generosità, della natura e
dell'intraprendenza dell'uomo nell'incontro con essa".
Le circostanze storiche che hanno offerto l'occasione per l'attuale
ricostruzione rappresentano solamente un particolare momento del lungo
rapporto intercorso, nei secoli, fra questa meravigliosa terra e la
Mia Famiglia, entrambe le quali coltivano nella propria memoria la ricchezza
del ricordo.
Dalla Introduzione del libro riportiamo il seguente passo:
Il
giorno 8 febbraio del 1806, le armate francesi di Napoleone, facevano
il loro ingresso, pressoché incruento, nel Regno di Napoli. Il
Re Ferdinando IV di Borbone, per tempo, e la Regina Maria Carolina,
insieme ad una Corte frammentata, confusa e disorientata, ma oramai
rassegnata a tale evento, si erano, tra varie peripezie e tentennamenti,
rifugiati in Sicilia. Il 19 febbraio 1806, Giuseppe Napoleone, faceva
il suo ingresso a Napoli, mentre in un vano tentativo di difesa in Calabria,
il Principe Ereditario Francesco e suo fratello Leopoldo, si attardavano
sulle montagne impervie tra Lagonero e Campotenese, fino a che sconfitti
ripetutamente non lasciarono definitivamente il continente. Iniziava
il "Decennio Francese" (18061815) del Regno delle Due Sicilie,
senza raggiungere lo scopo finale di annessione della Sicilia, che rimase
nelle mani dei Borbone, appoggiati militarmente dagli inglesi, che a
loro volta, non avevano rinunciato a riconquistare quella parte del
Regno nelle mani dei francesi.
In questo scenario di conflittualità, l'isola d'Ischia si trovò
ad assumere un ruolo centrale; essa, per la sua posizione a guardia
dell'imboccatura a Nord del golfo, ha rappresentato nel corso delle
vicende storiche del Regno di Napoli, un luogo strategico di fondamentale
importanza, così come l'isola di Capri lo era sul versante a
Meridione. L'intreccio degli avvenimenti e dei personaggi che li determinarono,
scandirono la storia dell'isola insieme al più vasto spazio geografico
del quale faceva parte, divenendo, in alcuni momenti di elevata tensione
politica e militare, il crocevia dei destini umani e dei popoli in guerra.
In questo contesto di belligeranza, nelle acque che circondavano l'isola,
si confrontarono nella secolare lotta per il predominio, potenze navali
di antica tradizione, poiché il controllo dell'isola assicurava
vantaggi militari di rilevante importanza difensiva nei confronti della
vicina Capitale del Regno.
Nella cronistoria degli avvenimenti, del primo decennio del XIX secolo,
l'isola fu al centro di un confronto decisivo per il suo possesso, che
passò alla storia come la spedizione anglo-borbonica (1809),
destinata, nel suo ambizioso progetto di riconquista del Regno, a sottrarre
l'isola ai francesi che ne avevano conquistato il controllo, e che si
accingevano a potenziare l'impianto difensivo delle fortificazioni per
accrescerne la capacità di fuoco, secondo un organico piano strategico.
Protagonista, per la rappresentanza borbonica, con un esplicito significato
simbolico, più che militare, fu Leopoldo di Borbone (1790-1851).
Impresa complessa, quella delle forze anglo-borboniche, sia per la diversità
degli intenti che per la disparità delle forze in campo, che
aveva negli inglesi la potenza militare e nei Borbone, radicati sul
territorio da diversi decenni, la legittimazione e le sinergie per acquisire
il fine preposto. I Borbone, d'altronde, attraverso gli insediamenti
dei numerosi Siti Reali, delle fabbriche e delle attività produttive,
potevano almeno negli auspici, a differenza dei francesi, che erano
a loro subentrati, contare su di un più antico e vasto consenso
delle popolazioni locali.
Per i Borbone la fedeltà delle popolazioni era una convinzione
motivata, poiché nel corso di vari decenni, a partire dal capostipite
Carlo, la loro presenza sul territorio si era consolidata attraverso
la costruzione o l'acquisizione di edifici, le cosiddette "Reali
Delizie" che con i loro terreni circostanti, caratterizzati da
una intensa attività agricola, da allevamenti selezionati ed
ambiziose iniziative industriali, costituivano, nel loro insieme, una
concatenazione di modelli produttivi fondamentali per i programmi economici
finalizzati alla penetrazione e sviluppo del territorio.
Ferdinando IV, per la riconquista del Regno, occupato militarmente dai
francesi, confidava sul sentimento popolare di fedeltà alla corona-,
ed in questo senso, conferì al figlio l'impegno di rappresentarlo,
ricordandogli che non potendo disporre che di un piccolo esercito "con
il quale circondarlo", il sostegno e la partecipazione di quelli
che egli considerava ancora i suoi sudditi, doveva costituire il supporto
umano e logistico, da affiancare al militarmente forte esercito inglese.
Non sempre nel corso degli eventi che segnarono l'avanzata dei francesi
in Calabria, tale fiducia si rivelò fondata; la preoccupazione
delle popolazioni disseminate in tenitori remoti, era soprattutto quella
di non subire gli effetti devastanti del conflitto, indipendentemente
dalla loro devozione, per cui esse erano spinte ad assumere atteggiamenti
di diffidenza ed autoprotettivi. Tuttavia sull'isola d'Ischia, i Borbone
erano riusciti a raccogliere un solido consenso popolare; essi furono
frequentatori assidui, attratti dalle straordinarie risorse locali,
ed in particolare di quelle termali, che dovevano costituire nel tempo,
i presupposti della sua crescita ed espansione economica. La loro ininterrotta
presenza sull'isola, a partire da Ferdinando IV, si concluderà
con un evento storico di vasta portata, destinato nel 1854 a rivoluzionare
lo stesso destino delle popolazioni con l'apertura del Porto, per volontà
di Ferdinando II.
L'isola, era stata nel suo passato, incontro di civiltà e culture
diverse, a partire dalla remota fondazione della colonia greca, nel
tempo si era consolidata la tradizione di sito privilegiato di cura
e di villeggiatura; i sovrani Borbone non mancarono di lasciare i segni
della loro presenza. Se Carlo, il capostipite, nel corso del suo regno,
non lasciò tracce edilizie sull'isola, fu perché già
impegnato nella costruzione totale o parziale di innumerevoli edifici
reali a Capodimonte, Portici, Caserta e Napoli, tuttavia l'isola e le
sue straordinarie risorse gli erano ben note e da lui apprezzate, dal
momento che il primo medico di corte Francesco Buonocore, aveva sull'isola,
nella località "Villa de Bagni", il suo casino in posizione
dominante sull'antistante lago, e che svolgerà un ruolo rilevante
nella storia dei luoghi con il successivo passaggio ai Borbone, divenendo
un fattore propulsivo dello sviluppo economico dell'isola.
Testimonianze eloquenti della conoscenza di Carlo, circa le capacità
terapeutiche delle sorgenti termali e minerali di Ischia, sono rintracciabili
nelle numerose lettere che l'architetto Luigi Vanvitelli inviava a suo
fratello Urbano; non mancando di informarlo, che su suggerimento del
"Suo Sovrano" e su raccomandazione del medico Buonocore, si
era recato ripetute volte a Casamicciola ed a Lacco, per curarsi dalle
gravi forme reumatiche e renali che lo affliggevano. Esiti miracolosi
sembrava talvolta aver trovato il Primo Architetto di Corte, afflitto
da dolori all'articolazione del piede, che gli impedivano di svolgere
la sua attività motoria, rendendogli penoso il seguire i suoi
cantieri oppure il partecipare alla vita sociale, che riteneva indispensabile
nei suoi rapporti con i maggiori protagonisti di una corte difficile
con equilibri in continua mutazione.
Il successore di Carlo, suo figlio Ferdinando IV, anch'egli appassionato
della pratica della pesca e della caccia, fu personalmente interessato
a frequenti trasferimenti sull'isola, decidendo di prendere in fitto
il casino dagli eredi del medico Buonocore, insieme con il sottostante
lago dall'Università d'Ischia, destinato a soddisfare il suo
piacere per le "reali pescate"'. Le attrattive del casino
indussero probabilmente il sovrano a meditarne l'acquisizione, poiché
decise di affidare a Carlo Vanvitelli, che aveva raccolto l'eredità
paterna, della direzione della Reggia di Caserta e della conduzione
di gran parte degli interventi relativi ai beni di Casa Reale, l'incarico
di studiare un progetto d'insediamento e trasformazione di un ambito
territoriale, che doveva estendersi sul promontorio di S. Pietro.
Carlo Vanvitelli, presentò al sovrano due ipotesi, entrambe incentrate
nella costruzione di un nucleo principale, concepito quale fulcro del
progetto: l'erezione di un padiglione di caccia o in alternativa, un
tempietto circolare con un colonnato di forma neoclassica, dedicato
ad Esculapio, luogo allusivo delle proprietà terapeutiche, insite
nelle profondità del sottosuolo, ed in particolare delle adiacenti
sorgenti di Fornello e Fontana. I progetti, come pure l'acquisizione
del Casino, non si concretizzarono, probabilmente per il clima rivoluzionario
che minaccioso soffiava dalla Francia, e che nella sua più violenta
esasperazione, portò alla drammatica decapitazione del Re di
Francia Luigi XVI e della Regina Antonietta, sorella della Regina Maria
Carolina.
Lo stesso Regno di Napoli, sarà, io anni più tardi (1799),
investito e profondamente scosso, dall'ondata rivoluzionaria proveniente
dalla Francia, che dopo le drammatiche vicende della Repubblica Partenopea,
sfocerà nell'avvento dei napoleonidi. Da questi tumultuosi eventi
che si susseguirono incalzanti, Ferdinando IV per la seconda volta nel
giro di
pochi anni, fu costretto a lasciare la Capitale (11 febbraio 1806),
rifugiandosi in Sicilia con la sua famiglia, portando con sé
un ingente quantitativo di arredi e opere artistiche di ogni genere,
caricate su di una flottiglia, costituita dalla fregata «Minerva»,
dal vascello «Archimede» e da altre navi. Da questi eventi,
si mosse la spedizione anglo-borbonica con i suoi risvolti politici
e militari, ma anche personali dei suoi protagonisti, sul cui svolgimento
ed esito, sono rimaste le testimonianze, spesso narrate con esasperato
spirito di parte, dagli storici che furono partecipi degli avvenimenti.
Poco noto, e per larga parte inedito, è il cospicuo carteggio
proveniente dagli archivi Borbone, relativo alle motivazioni, ai preparativi
e allo svolgimento della missione, che per il serrato intersecarsi dei
documenti privati e diplomatici, su cui si fonda la presente ricostruzione
degli avvenimenti, costituisce la più completa ed articolata
testimonianza storica per la conoscenza di quegli eventi (Nicoletta
D'Arbitrio e Luigi Ziviello).
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